venerdì 16 novembre 2007

Ron Paul, la non-persona

Maurizio Blondet
15/11/2007

Stati Uniti - La prossima volta che vedrete in TV il noto Teodori ripetere che l'America «è la più aperta democrazia occidentale», con «la più libera stampa che esista al mondo», raccontate a vostro figlio o nipote (che potrebbe crederci) la storia del candidato che il popolo vuole e di cui i media tacciono.
E' una storia che si svolge in questi giorni.
In USA c'è una non-persona che s'è candidata alla presidenza USA.
Che sta avanzando nei sondaggi.
Che conduce la sua campagna in economia assoluta.
Non ha nulla per piacere: non è nemmeno «un giovane», è un ginecologo settantenne.
Questa non-persona è repubblicana: la sua avanzata travolgente ne fa anzi, l'unico candidato repubblicano che - dopo il mandato repubblicano di Bush, un disastro di guerra, debiti e miseria - abbia una possibilità di prevalere sulla candidata democratica Hillary Clinton.
Eppure il suo stesso partito non lo candida.
Anzi, gli fa il vuoto attorno.
Preferisce perdere con Rudy Giuliani, il sindaco delle Twin Towers.
Se siete più informati di quanto vi consenta il Corriere, conoscete il nome di questa non-persona.
Si chiama Ron Paul.
La sua colpa, che lo rende incandidabile nella più grande democrazia del mondo, è questa: fin dal principio è stato contro l'invasione dell'Iraq.
Contro la demente guerra al terrorismo globale indetta da Bush.
Contro le guerre per Israele.
E mentre Hillary, Obama, Giuliani, McCain, qualunque altro candidato di cui si può parlare, hanno promesso alla nota lobby che se eletti faranno la guerra all'Iran, Ron Paul ha promesso il contrario. I candidati sono andati in ginocchio alle sedi varie della lobby, per supplicare il sostegno del denaro israelita e fare esaminare le loro credenziali.
Il denaro corre e si concentra, la scelta è caduta su Hillary meglio che Obama, è già deciso…
Le campagne presidenziali costano, in USA, almeno 200 milioni di dollari a candidato.

Ma non è che a Ron Paul manchi il denaro.
Solo che lo riceve dalla gente comune.
In misura strabiliante.
In un solo giorno, il 5 novembre, ha ricevuto dagli americani che lo conoscono via internet 4,2 milioni di dollari.
La data è significativa: il 5 novembre 1605 è nel mondo anglosassone il Guy Fawkes Day, memoria del presunto attentato a re Giacomo I, a torto o a ragione passato come un giorno di liberazione inglese dal «papismo» (1).
Non è che la memoria storica della gente giunga a tanto.
Quelli che hanno scelto il 5 novembre per dare ancor più soldi a Ron Paul hanno in mente il film recente, «V for Vendetta», la storia di un vendicatore mascherato in lotta contro una società d'oggi, dominata da poteri occulti, meccanicisti, nichilisti, radicalmente falsa: la società televisiva in cui viviamo.
Il sito di Ron Paul è affollato da donatori in maschera bianca che ripetono lo storico slogan: «Remember, remember the 5 of september».
Insomma vedono in Paul il Vendicatore.
Il critico radicale di una società che si dice democratica ed è governata da oligarchie occulte; quello che dice la verità nel mezzo della menzogna totale mediatica.
Ron Paul è il solo candidato che riceva soldi dalla gente, in questa misura: vuole arrivare a 12 milioni di dollari entro dicembre, e ne ha già 9.
Gli altri candidati candidabili ricevono i soldi dalle lobby e dalle multinazionali.
Molti di più, si capisce.
Ma Ron Paul fa campagna in economia stretta.
Non ingaggia maghi della pubblicità da milioni di dollari.
Non spara sui network spot da miliardi.
Non inonda i muri di manifesti colossali.
Il gruppo che lo fiancheggia non è composto da centinaia di militanti forniti dal partito repubblicano, ma da cinquanta persone, volontari a rimborso-spese.

Come «spin doctor», strateghi della comunicazione, sono con lui due tizi chiamati Kent Snyder e Lew Moore.
Sono due professionisti.
Ma Snyder è accanto al vecchio ginecologo da quanto era studente e lo sostenne come volontario nella campagna del 1988, dove Ron Paul si presentò come candidatolibertario.
Moore è un repubblicano che ha creato campagne per noti sostenitori di cause perse, ma anti-sistema: il deputato Jack Metclaf, che ha il coraggio di proclamare che la Federal Reserve è illegale, e illegale il denaro che crea dal nulla, e fu - all'età di nove anni - uno dei ragazzi che volantinarono per Barry Goldwater nel 1964.
Insomma, non due maghi di «ogni» pubblicità, ma due soldati politici e vecchi amici.
Il resto gli viene da internet.
Dal mezzo non del tutto controllabile, che si conferma ancora una volta il luogo ultimo dove la gente raccoglie le verità che i media non dicono, e dove si organizza per esprimere il suo rifiuto delle oligarchie nascoste.
I media americani non hanno parlato di Ron Paul.
Mai o quasi, fino ad ora: salvo qualche accenno a quel pazzerello ridicolo, a quel «marginale» strano vecchietto.
Mai e poi mai hanno coperto i suoi affollati comizi, dove arriva gente di ogni razza, ceto e convinzione politica, cristiani rinati e gay di San Francisco compresi.
Ora però «devono»: quei 4,2 milioni di dollari raccolti dalla base in un solo 5 novembre - qualcosa che la Clinton e Rudy Giuliani nemmeno si sognano - sono una realtà esplosiva.
Una realtà pericolosa, a giudizio delle note lobby.
Da neutralizzare.
A questo servono i «liberi» media.
Una campagna di derisione al limite della denigrazione e della calunnia è in corso (2).
TV e giornali «di destra» e «di sinistra» uniti, dipingono giorno per giorno la caricatura, per rendere Ron Paul inappetibile.
«Ron il matto» il pazzo pericoloso, è il tema generale (fecero lo stesso anche a Goldwater).
Un fanatico.
Il Wekly Standard, la rivista dei neocon, è sul punto di dargli dell'antisemita, e lo ritrae mentre viene salutato da giovani in uniforme, per suggerire che è un nazista.
Lì si «deve» arrivare.

Per ora, il messaggio è affidato ad un comico della CNN, Glenn Beck, che (scherzando s'intende) dà a Ron Paul del «terrorista», lo paragona ad uno come Timothy McVeigh, il capo degli attentatori di Oklahoma City, stragista nero, estrema destra.
Poi, i liberi giornali hanno scoperto che fra i donatori alla sua campagna c'è un razzista di notorietà locale, il quale ha versato 500 dollari.
Che Rudy e Hillary ricevano milioni di dollari dal complesso militare-industriale e dall'American Israeli Political Committee non pesa altrettanto, nel sistema orwelliano della Verità Autorizzata. David Neiwert, un giornalista, ha cominciato a ricamare su quei 500 dollari neri. «Non sto dicendo che Ron Paul è un razzista, ma che è un estremista che condivide un quadro di convinzioni sostenute dai razzisti e dai fanatici del 'meno Stato'. Paul si identifica con le loro cause non solo perché parla con loro, ma perché illustra idee e posizioni - sul sistema fiscale, l'ONU, la copertura aurea e l'istruzione - identiche alle loro. C'è un motivo per cui Ron Paul attrae sostenitori come David Duke (noto neonazista, ndr.) e le bande dello Stormfront: egli parla come loro».
Si assapori la tecnica denigratoria per associazione e per allusione.
Ron Paul è un libertario, fin troppo liberale in senso radicale su certi temi.
E in quanto libertario, «parla» a chiunque, anche a chi «non dovrebbe».
Siccome è contro la tassazione spoliatrice, l'ONU come fantomatico governo mondiale, per l'istruzione affidata alla responsabilità dei genitori e (soprattutto) contro una moneta senza copertura - è come David Duke.
Parla come lui, l'agitatore di svastiche.
E' un negatore dell'olocausto, dunque.
Nel nostro piccolo, abbiamo visto usare questa medesima tattica da Teodori.
Evidentemente c'è un manuale, un repertorio prescritto.
La realtà è che Ron Paul è un esponente del movimento liberario classico, una frangia di minoranza che è sempre esistita in USA, ancorchè minoritaria.
Fa rabbia che sia a destra (è repubblicano e per «meno Stato») ma anche a sinistra, contro la guerra e le guerre di Bush.
Insomma non è incasellabile nelle gabbiette prescritte dalle lobby.
Rompe gli steccati, attraendo gente dalle due sponde.
Dice ciò che nè a «destra» né »sinistra» deve essere detto, se si vuol farsi eleggere presidenti o senatori. Non dipende dall'AIPAC e non si fa dettare il programma dal Jewish Institute for National Security Affairs.
Disturba, perché ai liberai americani è data la scelta fra falchi di sinistra che promettono di bombardare l'Iran, e neocon dichiarati come Giuliani, che promettono di bombardare l'Iran.

Lo dice David Greenwald, un giornalista prima critico ma oggi attento e favorevole osservatore del fenomeno.
«La capacità della campagna di Paul di costringere ad un dibattito di cui c'è disperato bisogno, attorno alla devastazione che il dominio imperiale americano porta ad ogni livello, economico, morale, di libertà e sicurezza, la rende di per sé degna di applauso».
Strano nazista, uno che apre il dibattito invece di chiuderlo.
«Inoltre», aggiunge Greenwald, «a volte sono le circostanze a dettare le priorità politiche. Persone che non sono mai state attratte dalla retorica del 'meno Stato' e di tutti i relativi sottoprogrammi, oggi capiscono che come ideale questo è necessario oggi, dopo sei anni di espansione del potere statale più intrusivo».
E' così che un ostetrico-ginecologo di 73 anni con idee un po' radical e un po' anti-FED può diventare di colpo un «Guy Fawkes», l'uomo mascherato antisistema, scelto per denunciare la distanza abissale che ormai separa, nella cosiddetta «democrazia», gli elettori dagli eletti, o se vogliamo, il popolo dall'establishment.
Ciò che è peggio, è che l'adozione di Ron Paul da parte dei suoi sostenitori ha - come nota Dedefensa - una identificazione col personaggio fittizio di «V per Vendetta»: un sogno filmico, inventato apposta per placare oniricamente (illusoriamente) le insofferenze che covano nella cultura di massa, un «simbolo» che si vende nei supermercati ad Halloween, una invenzione pubblicitaria a sostegno del sistema e del suo moralismo falso, si volge contro il sistema.
Il vantaggio della «simbolizzazione» per il sistema era la sommarietà della rivolta cinematografica, che «permette utili deformazioni ed evita di investigare a fondo le politiche fondamentali».
Ora, la macchina gira al contrario: chi sia Ron Paul, come la pensi davvero su questo e su quello, importa poco, ora che è il simbolo del candidato-contro, e i suoi sostenitori lo salutano col grido «Remember remember th 5 of november».

E' successo anche in Italia, con Beppe Grillo, le sue idee ecologiste non sono state il motivo del suo successo popolare.
Qui tutto sembra rientrato.
Anche Ron Paul, forse, non ha reali possibilità di vincere la campagna presidenziale.
Ma perché allora questa paura, questa rabbia dell'establishment, delle oligarchie, delle caste che hanno sequestrato la «democrazia»?
Perché ritengono necessario gridare alla «anti-politica»?
Al neonazista, negazionista per giunta?
Perché la menzogna ha da essere totale, da Bertinotti a Fini, o da Hillary a Rudy.
Una gabbia senza spiragli.
Basta un piccolo buco per mettere in pericolo il pensiero unico; anche perché è esausto, e la sua falsità non può più essere dissimulata.

Maurizio Blondet

Note:

1) «La mission de Ron Paul, V for Vendetta», Dedefensa 14 novembre 2007.
2) Justin Raimondo, «Why are they so afraid of Ron Paul? Neocons and sectarian leftists unite to smear the antiwar republican», AntiWar, 14 novembre 2007.

venerdì 9 novembre 2007

Chi è Ron Paul?

Ron Paul, candidato repubblicano alle presidenziali statunitensi del 2008, rappresenta indubbiamente la migliore e probabilmente ultima speranza degli Stati Uniti d’America di risorgere dal baratro nel quale è stata gettata dalle folli politiche neoconservatrici degli ultimi anni, in particolare a partire dall’11 settembre 2001.

Inizialmente ignorato dai grandi media, Ron Paul sta prepotentemente emergendo come il fenomeno di queste primarie, spinto dalla forza di un messaggio che sta letteralmente infiammando di speranza i cuori di migliaia di persone, divampando attraverso le reti di Internet.
Stoico difensore della Costituzione statunitense, col suo programma si impegna a ritirare immediatamente le truppe dall’Iraq e successivamente a smantellare le varie basi militari USA in tutto il mondo, dato che nella costituzione non è mai stato scritto chel’America dovesse diventare il poliziotto del pianeta, mentre le forze armate dovrebbero essere destinate esclusivamente alla difesa dei confini nazionali.

Ancor più radicale è la sua visione del ruolo del governo, del sistema fiscale e delle politiche monetarie: oltre a ridurre le prerogative e l’inutile burocrazia del governo federale, intende eliminare la tassazione diretta smantellando l’IRS (corrispondente al nostro ministero delle finanze), chiudere la Federal Reserve e far emettere direttamente dallo stato la moneta, che tornerebbe ad essere coperta e convertibile in oro.

Genuino, integerrimo, positivo, coerente, ha un curriculum parlamentare, professionale e militare di assoluto rispetto ed è caratterizzato da una serenità, una saggezza, un’educazione e un senso dell’umorismo straordinari.

In attesa che anche nel nostro sciagurato paese possano emergere figure di uno spessore paragonabile al suo (o a quello di altri notevoli personaggi che si stanno lentamente affacciando alla ribalta internazionale, come Chavez, Morales, la Kirchner, etc.), forse la miglior cosa che possiamo fare è sostenere Ron Paul nella sua campagna per risanare gli Stati Uniti e riportarli a una grandezza espressa dalla forza delle idee, dei valori e della libertà, piuttosto che da quella delle armi e della sopraffazione. Siamo certi che se questa autentica rivoluzione prendesse piede laggiù, presto l’onda lunga giungerebbe anche da noi: per questo è importante parlarne, diffonderne il messaggio e la speranza di cui è pregno, e magari contribuire anche con una donazione per la sua campagna(vedere http://www.ronpaul2008.com/).

In un pianeta sempre più interdipendente, è di capitale importanza alimentare ogni speranza di luce, di giustizia e libertà, ovunque essa si manifesti. Un mondo nuovo ci attende… se sapremo meritarcelo.

mercoledì 7 novembre 2007

Ron Paul: il coraggio della coerenza

Una tranquillo dibattito fra repubblicani, dove ciascun candidato recitava a memoria la propria nenia incantatrice, è stato improvvisamente scosso da un intervento "esplosivo" del parlamentare texano Ron Paul, che sin dall'inizio si è distinto per posizioni decisamente contrarie al pensiero omologato del resto del partito.La domanda che ha incendiato il dibattito è stata la seguente: "Onorevole Paul, lei da sempre si è distinto per essere contrario alla guerra in Iraq, e ha detto che se fosse eletto presidente ritirerebbe immediatamente le truppe dal teatro di guerra. Lo conferma?"




"Quello che dobbiamo capire - ha risposto in sintesi Paul - è che noi siamo stati attaccati proprio per la nostra presenza in Medio Oriente ...... e in Iraq. L'undici settembre alla fine ce lo siamo cercato noi. Il presidente Bush è stato eletto su una piattaforma di non interferenza con le nazioni sovrane, la tradizione repubblicana è quella di non interferenza, e la nostra stessa costituzione ci impone di non interferire con la vita politica altrui."

Rudy Giuliani quasi non credeva all'occasione che gli stava passando davanti, ed ha addirittura violato le regole del dibattitopur di non farsela sfuggire: ha interrotto il moderatore, chiedendo di poter commentare, e senza attendere il permesso ha inscenato una spledida rappresentazione dell' "ex-sindaco indignato" per le parole di Ron Paul. "Devo dire - ha dichiarato Giuliani - che ho sentito moltissime spiegazioni per l'undici settembre, ma questa è davvero la più stana: trovo semplicemente inaccettabile attribuire alla nostra presenza in Iraq gli attacchi dell'undici settembre, e invito il senatore Paul a ritrattare immediatamente la sua affermazione".

A quel punto il moderatore non ha potuto che concedere a Paul lo spazio per la replica. Paul ha mantenuto la sua posizione, ma non si è accorto del tranello verbale tesogli nel frattempo da Giuliani, che aveva astutamente dimenticato "Medio Oriente", ripetendo solo "Iraq" nel rimettergli in bocca la frase incriminata. Paul si è così ritrovato a dire che "sono anni che bombardiamo l'Iraq, non potevamo che aspettarci una reazione di quel genere", e quando si è accorto dell'errore la platea stava già mandando chiari segni di disapprovazione. Nel dopo-dibattito gli altri candidati e gli stessi commentatori della Fox - la rete che ha organizzato il dibattito - hanno cercato di seppellire definitivamente il texano "anomalo", sostenendo che "dopo quella affermazione possiamo considerare Paul definitivamente escluso dalla corsa alla presidenza".

Ma nelle ore seguenti si è registrata una sorpresa ancora maggiore: invece di affondare del tutto, Ron Paul è schizzato in testa alle classifiche dei voti dei telespettatori, che inizialmente lo indicavano come il vincitore virtuale del dibattito, attibuendogli il 30% dei voti (seguito da Romney con il 27%), contro il 16% soltanto per Giuliani, mentre John McCain riportava un triste e imprevisto 3%.

Stupiti per il guizzo di Ron Paul, i commentatori della Fox cercavano improvvisamente di sminuire l'importanza di un voto popolare che fino a qualche minuto prima avevano annunciato come un responso divino. E quando Ron Paul si è presentato per essere intervistato, l'anchor numero 1 della Fox lo ha letteralmente aggredito, chiedendogli senza mezze parole di indicare un solo motivo che avrebbe potuto provocare l'aggressione all'America dell'undici settembre.

Paul ha iniziato pazientemente a elencare "la nostra presenza in Arabia Saudita", "il fatto che da dieci anni stiamo bombardando una nazione che teniano sotto embargo, uccidendo centinaia di migliaia di bambini...", al che l'uomo della Fox ha pensato bene di interromperlo, chiedendogli: "per caso non dovremmo intervenire, quando una nazione come il Kuwait viene invasa da un dittatore che uccide con il gas la propria gente?" Nonostante l'aggressività del commentatore, Paul è riuscito a rispondere che "questo avveniva sotto Reagan e Bush, e nessuno sembrava scandalizzarsi allora", aggiungendo "e poi, il gas glielo abbiamo dato noi".

Il presentatore della Fox ha capito che non gli conveniva proseguire su quella strada, e ha prontamente posto fine all'intervista. Nel frattempo il sondaggio del pubblico si attestava sul 28% dei voti a Ron Paul, contro il 19% a Giuliani.

Che sia forse venuto il momento in cui la gente comincia a giungere intuitivamente a certe verità che a livello razionale le vengono sistematicamente negate dal costante lavaggio del cervello operato dai media?

Massimo Mazzucco

Fonte: http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=1817

4 Luglio: Nel nome del patriottismo

Nessuna giornata negli Stati Uniti è festeggiata con passione e partecipazione al pari del 4 Luglio.Ogni Americano riconosce con ammirazione ed orgoglio i grandi risultati ottenuti dai Padri Fondatori con la loro riuscita guerra di Liberazione dall'Impero Britannico e la dichiarazione di Indipendenza.Tuttavia, ogni anno che passa vengono sottratte ai cittadini Statunitensi un numero sempre maggiore e ormai, si teme, in inarrestabile ascesa, di quelle libertà civili duramente conquistate da quegli stessi uomini che vengono incensati nel corso di questa giornata, con parole che nell'attuale contesto risultano ormai svuotate di significato, come Patriottismo, ma anche Libertà, Indipendenza...Cosa dovrebbe realmente significare l'espressione di "Patriota", e cosa è invece diventata oggi ?Prova a spiegarlo in un discorso al Congresso degli Stati Uniti il candidato alle Presidenziali 2008 Ron Paul, costantemente ignorato da quegli stessi mezzi di informazione che con grande fanfara anche quest'anno celebrano la famosa ricorrenza.


(segue trascrizione)

Per alcuni, il patriottismo è "l'ultimo rifugio dei farabutti."

Non ho mai incontrato nessun politico a Washington, o se è per questo nessun Americano, che abbia voluto essere definito “anti-patriottico”. Né ho mai conosciuto nessuno che non credesse di supportare con tutto il cuore i nostri soldati dovunque si potessero trovare.

Quello che ho sentito troppo di frequente da diverse persone sono forti accuse rivolte ai loro oppositori politici, che siccome la pensano diversamente, essendo in disaccordo con loro sulla necessità di avventure militari all'estero, di essere “anti-patriottici, anti-americani, persone malvagie da disprezzare.”

I primi patrioti Americani erano quegli individui così coraggiosi da resistere con la forza al potere oppressivo di Re Giorgio. Io accetto la definizione di patriottismo come lo sforzo di resistere al potere oppressivo dello Stato. Il vero patriota è motivato da un senso di responsabilità, e dall'interesse non solo per sé stesso, ma anche per la sua famiglia e per il futuro del suo paese, a resistere all'abuso di potere del governo. Egli rifiuta l'idea che patriottismo debba significare obbedienza allo Stato.
La resistenza non deve essere violenta, ma la disobbedienza civile che potrebbe essere necessaria include il confronto con lo Stato e teoricamente il carcere.

Le rivoluzioni non-violente contro la tirannia sono state di successo esattamente quanto quelle che hanno incluso il confronto militare. Mahatma Gandhi ed il Dr. Martin Luther King Jr. hanno conseguito grandi successi politici praticando la non-violenza, tuttavia loro stessi hanno sofferto fisicamente per opera dello Stato.
Ma sia se la resistenza contro i tiranni del governo sia violenta o no, lo sforzo di sovvertire l'oppressione dello Stato merita in entrambi i casi la definizione di puro patriottismo.Il vero patriottismo oggi ha acquistato una pessima caratterizzazione – almeno dal governo e dalla stampa. Quelli che oggi si oppongono ai metodi anticostituzionali di imporci tasse sul reddito, o di costringerci ad utilizzare un sistema monetario ideato per servire i ricchi a scapito dei poveri, vengono sistematicamente condannati. Questi patrioti Americani purtroppo vengono guardati da molti dall'alto in basso. Loro non vengono mai onorati come difensori della libertà come sono stati Gandhi e Martin Luther King.
Anche i progressisti che si rifiutano di pagare le tasse in segno di protesta contro la guerra vengono infamati, in particolar modo dagli statisti conservatori.

La fedeltà incondizionata allo Stato viene richiesta specialmente in tempo di guerra. La mancanza di supporto per una politica di guerra si dice sia anti-patriottica. Gli argomenti che vengono opposti contro un piano politico in supporto ad una guerra che è stata sferrata, viene ogni volta detto che mettono a rischio i soldati sul campo di battaglia. Questo, essi affermano sfacciatamente, è anti-patriottico e si deve fermare ogni forma di dissenso. Tuttavia è il dissenso verso le politiche del governo che determina quali siano i veri patrioti e difensori della libertà.

Viene convenientemente ignorato che l'unico vero modo per supportare i soldati nella maniera migliore è quello di tenerli alla larga da guerre pericolose, non dichiarate, non vincibili, che sono state decise politicamente. Inviare i soldati in guerra per motivi che non sono realmente collegati alla sicurezza nazionale – e che quindi potrebbero anche mettere a repentaglio quella stessa sicurezza – è difficile che significhi supportare i soldati “in modo patriottico.”

Chi sono i veri patrioti: quelli che si sottomettono o quelli che protestano contro le guerre immotivate ? Come si può affermare che il cieco appoggio alla guerra, non importa quanto possa essere stata sbagliata la condotta politica, sia il dovere del patriota?
Randolph Bourne diceva che “la guerra è la salute dello Stato.” Con la guerra, egli dimostrò, lo Stato prospera.
I sostenitori di uno Stato potente, considerano la guerra una opportunità. Quelli che diffidano delle persone e del mercato per la risoluzione dei problemi non si fanno scrupoli nel promuovere una “psicologia della guerra” per giustificare l'espansivo ruolo dello Stato.
Questo include il ruolo che il governo federale gioca nelle nostre esistenze e nelle nostre transazioni economiche.
E certamente il credo neo-conservatore che abbiamo un obbligo morale a diffondere i valori Americani in tutto il mondo, attraverso la forza, giustifica la guerra allo scopo di conquistare il supporto interno per la mano dura del governo. E' attraverso questa politica, non dovrebbe sorprendere nessuno, che le nostre libertà vengono ridotte, l'economia sovraesposta ai rischi, e il nostro ruolo in tutto il mondo diventa insostenibile.

Per la paura di venir etichettati anti-patriottici, la maggior parte dei cittadini diventa servile e accetta l'idea che è necessario sacrificare la libertà per combattere una guerra per salvare la nostra sicurezza. Questo nella mia visione è uno scambio sciagurato, specialmente quando viene fatto in nome del patriottismo.
La fedeltà allo Stato e ai leader autocratici si sostituisce al vero patriottismo – cioè, alla volontà di sfidare lo Stato e difendere il paese, le persone, la cultura. Più i tempi sono bui, più forti diventano i moniti che i leader non vengano criticati.

Dato che l'aria di crisi che si crea in tempo di guerra supporta l'espansione dello Stato, qualsiasi problema porta a dichiarare "guerra" – anche alle questioni sociali ed economiche. Questo sprigiona il patriottismo anche a favore delle varie soluzioni del governo nel potenziare il potere dello Stato. La fiducia nella coercizione governativa e il non riuscire a comprendere come operano le società libere, favoriscono i progressisti ed i conservatori amanti dello "Stato onnipotente" che architettano una psicologia di guerra per ottenere la fedeltà politica negli affari interni, necessaria per perseguire la politica estera.
Il costo a lungo termine in dollari spesi e libertà perse viene trascurato mentre si sottolineano i bisogni urgenti.

E' questa la ragione per la quale stiamo portando avanti un gran numero di guerre infinite contemporaneamente. Quindi la guerra alla droga, al possesso delle armi, alla povertà, all'analfabetismo, al terrorismo, così come le nostre avventure militari all'estero, sono eterne.
Tutto questo sforzo favorisce l'espansione dello statalismo a scapito della libertà. Un governo ideato per operare in una società libera dovrebbe fare l'opposto: prevenire la crescita dello statalismo e preservare la libertà.

Una volta che una guerra di qualche tipo viene dichiarata, viene inviato il messaggio che non devi obiettare o sarai dichiarato anti-patriottico. Tuttavia, non dobbiamo dimenticarci che il vero patriota è colui che protesta nonostante le conseguenze che potrebbero derivarne, la condanna o l'ostracismo, e a volte il carcere.
Coloro che protestano in modo non violento contro il sistema fiscale vengono spesso messi in carcere – che sia contro l'incostituzionalità del codice o contro la guerra finanziata dai proventi delle tasse.
Chi resiste alla leva militare, o anche a registrarsi ad essa, viene minacciato e imprigionato per aver sfidato questa minaccia alla libertà.

Lo statalismo dipende dall'idea che il governo ha dei diritti su di noi ed i cittadini devono obbedire. Confiscare i frutti del nostro lavoro attraverso l'imposta sul reddito è cruciale per la salute dello stato. La leva obbligatoria, o anche solo l'esistenza della coscrizione, enfatizza che ci troveremo a dover fare guerra al volere dello Stato. Una società libera rigetta tutti i progetti di schiavitù forzata, che siano la leva obbligatoria o la confisca dei frutti del nostro lavoro attraverso l'imposta sul reddito.

Una tecnica più sofisticata e meno conosciuta per ingrandire lo Stato è la manipolazione ed il trasferimento di ricchezza tramite il sistema monetario fiat operati dalla riservata Federal Reserve. Coloro che protestano contro questo sistema incostituzionale delle monete cartacee vengono considerati criminali anti-patriottici ed a volte messi in prigione per le loro convinzioni. Non importa che, secondo la Costituzione, solo l'argento e l'oro hanno corso legale e le monete cartacee sono fuorilegge. Il principio di patriottismo viene capovolto.

Che si parli della difesa della spesa sociale interna, della tassa sul reddito obbligatoria, di un sistema monetario immorale, o del supporto per una guerra combattuta dopo falsi pretesti e senza una legale dichiarazione, i difensori della libertà e della Costituzione vengono descritti come anti-patriottici mentre coloro che supportano questi programmi, sono loro ad essere considerati patrioti. Se c'è una “guerra” in corso, ci si aspetta che vengano supportati ad ogni costo gli sforzi dello stato di vincerla. Il dissenso non è tollerato.

Il vero problema è che coloro che amano lo Stato sostengono troppo spesso politiche che portano all'azione militare. In patria sono piuttosto inclini a creare un'atmosfera di crisi per sostenere che è necessaria una guerra per risolvere il problema. A queste condizioni le persone sono più portate ad affrontare il peso di finanziare la guerra, ed a sacrificare tranquillamente quelle libertà che a loro viene assicurata sia l'unica cosa da fare.

Gli ultimi sei anni sono stati piuttosto vantaggiosi per la “salute dello Stato”, e questo a spese delle libertà personali. Ogni accresciuto potere incostituzionale dello Stato può formarsi solo a scapito delle libertà individuali.
Anche se in ogni guerra in cui siamo stati coinvolti ne hanno subito le conseguenze le libertà civili, alcune sono state restaurate al termine della guerra, ma mai completamente. Questo ha significato, negli ultimi 200 anni, una costante erosione delle nostre libertà. Il nostro governo fu originariamente pensato per proteggerle, ma ora al contrario ne è diventato l'usurpatore.

Viviamo ora nel periodo più drammatico per quanto riguarda la difesa da un governo centrale in espansione e con una costante erosione delle nostre libertà.
Ci ricordano in continuazione che “l'11 Settembre ha cambiato tutto.” Sfortunatamente, la politica che doveva venire cambiata più di tutte – cioè la nostra politica di intervenzionismo all'estero – non ha fatto altro che espandersi. Non c'è più possibilità che una politica di umiltà negli affari esteri, evitando di fare lo sceriffo del mondo intero a rovesciare ed installare governi, sia meritevole di considerazione. Viviamo ora in un'America post 11-9 dove il nostro governo ha intenzione di renderci sicuri non importa a quale prezzo. Ci si aspetta che noi facciamo buon viso a cattivo gioco e ci adeguiamo quando ci viene sottratta qualche nuova libertà, in nome del patriottismo e della sicurezza.

Anche se gli Americani in larga parte accettarono in un primo momento questo sforzo per renderci sicuri, ed erano inclini a sacrificarsi per la causa, sempre più ora stanno diventando preoccupati che le nostre libertà civili stanno venendo sacrificate in modo pericoloso e non necessario. Il problema è che la guerra all'Iraq continua a trascinarsi ed esiste un reale pericolo che si allarghi. Non si vede una tregua all'orizzonte in Iraq, o nella guerra al terrore o in quella alla droga. La vittoria non è neanche definibile. Se il Congresso è incapace di dichiarare una guerra ufficiale, è impossibile sapere quando finirà. Siamo stati ampiamente avvertiti che il conflitto mondiale in cui siamo coinvolti oggi durerà molto, molto a lungo.

La mentalità guerresca, e la pervasiva paura di un nemico fantasma, consentono una continua erosione delle nostre libertà, e con questo vengono meno la confidenza nella nostra autonomia e la fiducia in noi stessi. Pensate solamente al sacrificio ed all'umiliazione quando passiamo abitualmente agli screening negli aeroporti. Anche se non ci sono prove scientifiche che qualsiasi tipo di liquidi o gel possano venire miscelati a bordo di un aereo per fabbricare una bomba, vengono sprecati miliardi di dollari per buttare via dentifrici e gel e per perquisire vecchiette in carrozzella.
I nostri nemici dicono buh e noi trasaliamo, andiamo in panico, e puniamo noi stessi. Ci comportiamo peggio di un bimbo che ha paura del buio. Ma in un certo modo, la paura di un terrorismo non ben definibile è basata sulla nostra incapacità di ammettere la verità del perché c'è il desiderio da parte di un ristretto numero di Islamisti radicali arrabbiati di uccidere degli Americani. Certamente non perché sono gelosi delle nostre ricchezze e libertà.

Non riusciamo a renderci conto che degli estremisti, inclini a sacrificare le loro stesse vite per uccidere i loro nemici, lo fanno per un senso di debolezza e disperazione dopo attacchi veri o percepiti al loro stile di vita, alla loro religione, al loro paese ed alle loro risorse naturali. Senza i classici metodi diplomatici o militari per rispondere a questi attacchi, e dato che i loro stessi governi non sono intenzionati ad interessarsene, fanno ricorso alla strategia della disperazione del terrorismo suicida. La loro rabbia verso i loro stessi governi, che considerano collusi col Governo americano, è pari se non maggiore di quella che nutrono verso di noi.

Questi errori nel giudicare e comprendere le motivazioni del nemico e la fitta coltre di paura che si è creata ci hanno fatto sprofondare in una crisi dove le nostre libertà e la privacy stanno venendo continuamente erose in nome della sicurezza della nazione. Saremo anche il gigante economico e militare del mondo, ma stiamo fallendo nel tentativo di fermare questa guerra alle nostre libertà qui in patria, in nome del patriottismo.

L'erosione delle nostre libertà personali è iniziata molto prima dell'11-9, ma l'11-9 ha accelerato il processo. Ci sono molte cose che motivano coloro che procedono in questa direzione, alcuni sono in buona fede, altri no. Ma non sarebbe successo se le persone fossero rimaste vigili, conscie dell'importanza dei diritti individuali, e se fossero convinte che il bisogno della sicurezza non giustifica il sacrificio della libertà – anche sia o fosse solo temporaneo.
Il vero patriota sfida lo Stato quando questi inizia ad accrescere il suo potere a spese degli individui.
Senza riuscire a comprendere questo e ad avere una più forte determinazione nell'esercitare il nostro potere, i diritti degli Americani, conquistati dopo l'indipendenza dagli Inglesi, e dopo aver redatto la Costituzione, scompariranno.

Quello che è successo dopo l'11 Settembre è preoccupante. La considerazione per la libertà è peggiorata in fretta.
Molte delle nuove leggi promulgate dopo l'11-9 erano in realtà state proposte molto tempo prima. L'atmosfera politica dopo l'attacco ha semplicemente reso possibile che questo tipo di legislazione potesse passare. Il terrore generato dall'11-9 è diventato un'opportunità per coloro che volevano espandere il potere dello Stato negli affari interni, così come è servito per giustificare falsamente un'invasione, quella Irachena, pianificata da lungo tempo.

La mentalità di guerra è stata creata dal conflitto Iracheno combinato ai costanti tamburi del terrore qui da noi. Nessuno si occupa di Al Qaeda e Osama bin Laden, che ora si suppone sia in Pakistan, un nostro presunto alleato, mentre le nostre truppe combattono e muoiono in Iraq e sono stati resi dei più facili bersagli per i terroristi nel loro cortile di casa. Mentre i nostri leader sfruttano di continuo il caos che abbiamo creato per giustificare ulteriormente le erosioni dei nostri diritti costituzionali qui in patria, non ci curiamo dei nostri stessi confini e supportiamo il cammino inesorabile verso il governo mondiale: è difficile che questa sia una buona strategia per l'America.

Gli accelerati attacchi alla libertà sono iniziati subito dopo l'11-9. Nel giro di settimane fu approvato a schiacciante maggioranza dal Congresso il Patriot Act.
Anche se la versione finale non fu disponibile che poche ore prima del voto - nessun Membro ebbe il tempo sufficiente per capirla o anche solo per leggerla - la paura politica del "non fare nulla", anche fosse qualcosa di dannoso, portò i Membri del Congresso a non metterne in discussione i contenuti ed a votarla e basta. Un pò di libertà in meno per un pò di sicurezza percepita in più fu considerato un buono scambio - e la maggioranza degli Americani lo applaudì.
Il Patriot Act, tuttavia, ha eroso pesantemente il sistema dei "pesi e contrappesi" conferendo al governo il potere di spiare i cittadini non sospettati di alcun reato, e senza supervisione giudiziaria. Le molte clausole che minano le libertà di tutti gli Americani includono: perquisizioni e sequestri segreti; una più inclusiva e più vaga definizione di "terrorismo interno"; il permesso all'FBI di accedere ai registri di biblioteche e librerie senza autorizzazione o un ragionevole motivo; procedure semplificate per intercettazioni e perquisizioni, nonchè intercettazioni indiscriminate; accesso semplificato alle informazioni sui cittadini Americani quando usano Internet; ed un più facile accesso alle e-mail ed alle transazioni finanziarie di tutti i cittadini Americani.

L'attacco alla privacy non si è allentato col passare degli ultimi sei anni. Il Military Commissions Act è una legge di enorme portata che, se non verrà stracciata, sfigurerà l'America poichè sta usando ed abusando dei poteri garantiti incostituzionalmente al Potere Esecutivo.
Questo provvedimento garantisce una eccessiva autorità ad usare commissioni militari segrete lontano da dove hanno luogo le attività ostili. Il Military Commissions Act permette la tortura, la detenzione arbitraria di cittadini Americani come nemici combattenti fuorilegge alla piena discrezione del presidente e senza il diritto all'Habeas Corpus, oltre che investigazioni illegali della NSA [l'Agenzia per la Sicurezza Nazionale, n.d.t.].
Esso da anche al presidente il potere di incarcerare persone sulla base di testimonianze segrete.

Dopo l'11-9, le dichiarazioni firmate dal Presidente che indicano delle parti di legislazione che il Presidente non intende seguire, anche se ciò è illegale ai termini della Costituzione, si sono moltiplicate enormemente. Gli Ordini Esecutivi incostituzionali sono numerosi e nocivi e devono venir diminuiti.
Si è fatto un ampio utilizzo delle extraordinary rendition in giro per il mondo, anche se ovviamente al di sopra della legge.
Una crescente preoccupazione nella situazione post 11-9 sono le liste del governo federale dei potenziali terroristi, che si basano su prove segrete. Errare è umano ed alle volte è praticamente impossibile far rimuovere un nome dalla lista, anche se l'accusato è del tutto innocente di qualsiasi atto illecito.

Sta venendo implementata una ID Card [documento di identità] nazionale. E' denominata Real ID card ed è collegata ai nostri dati della previdenza sociale e alla nostra patente di guida. Se la Real ID non verrà fermata diventerà una patente/carta di identità nazionale per ogni Statunitense: saremo costretti a portare sempre appresso i nostri documenti.
Pochi hanno notato, ed ancora meno discusso, le modifiche legislative apportate all'Insurrection Act del 1807 ed al Posse Comitatus, dal Defense Authorization Act del 2007.

Questi cambiamenti avanzano una minaccia alla sopravvivenza della nostra repubblica conferendo al presidente il potere di dichiarare la legge marziale per ragioni risibili come il restaurare "l'ordine pubblico." La legge del 1807 restringeva duramente il presidente nell'utilizzo dell'esercito entro i confini degli Stati Uniti, ed il Posse Comitatus Act del 1878 rafforzava quelle restrizioni aggiungendo una rigida supervisione del Congresso.
La nuova legge permette al Presidente di eludere le restrizioni di entrambe le leggi.
L'Insurrection Act [Legge sull'insurrezione] è diventato ora "Legge sull'Imposizione dei provvedimenti per Restaurare l'Ordine Pubblico." Questo è un titolo che difficilmente suggerisce che gli autori hanno tenuto in considerazione, o hanno capito, la natura di una repubblica costituzionale.

Ora, la legge marziale può venir dichiarata non solo per una "insurrezione" ma anche per: "Disastri naturali, motivi di salute pubblica, attacchi terroristici o incidenti", o vagamente per quelle che vengono definite "altre condizioni." Il Presidente può convocare la Guardia Nazionale senza l'autorizzazione del Congresso o dei Governatori e inviare queste truppe federali in altri stati.

La Repubblica Americana è in uno stato decadente. Sono state poste le basi per farla infine trasformare in una dittatura militare e sembra importare a pochi.
Questi precedenti legislativi sono estremamente pericolosi e se non verranno annullati cambieranno la giurisprudenza Americana per sempre. Le conseguenze benefiche della nostra rivolta contro gli abusi del re stanno per venire cancellati e pochi Membri del Congresso, così come pochi Americani, sono al corrente della gravità della situazione. La compiacenza e la paura spingono la nostra legislazione senza alcuna seria obiezione dai nostri leader eletti.

Ma tristemente, quei pochi che protestano verso questa strada che è stata chiaramente intrapresa in cui si espande l'impero all'estero e si riducono le libertà personali vengono dipinti come anti-patriottici e menefreghisti.
Anche se i sussidi sociali ed il socialismo falliscono sempre, chi si oppone loro viene detto manchi di compassione. Anche se l'opposizione ad una guerra del tutto inutile dovrebbe essere una posizione morale condivisa da tutti, la retorica viene capovolta per sostenere che i patrioti che si oppongono alla guerra non stanno "supportando le truppe." Il mantra del "supportare le truppe" viene incessantemente usato come un sostituto dell'inaccettabile idea di "supportare la politica" non importa quanto sia sbagliata. Una politica folle non può mai "aiutare le truppe."
Tenere i soldati fuori dal pericolo e dalle guerre non collegate alla nostra sicurezza nazionale è il solo vero modo per "aiutare le truppe."

Se capiamo questo, allora chi è che può fregiarsi del titolo di "patriota"?

Prima che la guerra in Medio Oriente si allarghi e diventi un conflitto mondiale, per il quale saremo ritenuti responsabili, o prima che le libertà degli Americani verranno soppresse al punto che non saremo più in grado di resistere, c'è molto da fare. Il tempo è poco ma la direzione delle nostre azioni dovrebbe essere chiara. Dobbiamo resistere all'illegale e incostituzionale usurpazione dei nostri diritti. - l'educazione, l'azione politica convenzionale, o anche la disobbedienza civile pacifica - per portare ai cambiamenti necessari.

Ma non lasciate che si dirà che non abbiamo fatto niente.

Non lasciamo che gli amanti del potere del welfare/warfare [sussidi/guerra] di Stato etichettino i dissidenti come antipatriottici o menefreghisti. Il patriottismo ha più in comune col dissenso piuttosto che con il conformismo o il desiderio cieco di sicurezza. Comprendere le splendide ricompense di una società libera ci deve far lottare per essa senza timore, quando si realizza che il massimo benessere e la più maggiore speranza di pace vengono da una società che rispetti la libertà individuale.

On. Ron Paul, Camera Usa, 22 Maggio 2007
Introduzione e traduzione di Roberto Toso (goldstein)

Approfondimenti consigliati:

Fonte: http://www.luogocomune.net/site/modules/news/article.php?storyid=1888

Ron Paul, il candidato innominabile

Maurizio Blondet
23/05/2007


STATI UNITI - Repubblicano, conservatore, il deputato Ron Paul si è candidato alle presidenziali: ma è un personaggio politico quasi sconosciuto, che siede nella poco importante camera bassa.Fino a ieri: ora è salito in tutti i sondaggi americani.
E’ accaduto dopo un dibattito contro Rudy Giuliani, il più probabile candidato presidenziale repubblicano, in South Carolina.Ron Paul - uno dei pochissimi ad essersi pronunciato fin dal 2003 contro la guerra in Iraq - ha detto grosso modo questo: se i musulmani odiano gli Stati Uniti, non è perchè siamo liberi (come dice Bush); è perchè li martoriamo; perchè fra l’altro abbiamo sottoposto l’Iraq a dieci anni di bombardamenti e di sanzioni che hanno portato alla morte migliaia di iracheni.Giuliani lo ha schiacciato: «E’ davvero incredibile sentire, da me che ho vissuto l’11 settembre, che noi ci siamo chiamati quest’attentato perchè attaccavamo l’Iraq. Non ho mai sentito una spiegazione più assurda dell’11 settembre, e sì che ne ho sentite tante. Chiedo al deputato di ritirare la sua frase e dirci quello che intende veramente», ha tuonato.
Applausi televisivi.
Subito dopo, sulla Fox News, nel talk show notturno «Hannity and Colmes», si procedeva a finire l’assente Ron Paul.
Michael Steele, il portavoce del partito repubblicano (cui anche Paul appartiene) ha detto che avrebbe tagliato fuori il deputato da futuri dibattiti; in quel momento, nella striscia scorrente nella parte bassa del video, apparivano i risultati del sondaggio tra il pubblico: gli spettatori (e gli spettatori di Fox News, la più likudnik delle TV) decretavano Ron Paul vincente su Rudy Giuliani, col 230% di vantaggio.Da quel momento, i grandi media hanno spento la luce su Ron Paul, evitando accuratamente di citarlo, farlo apparire e intervistarlo.
Ma non è bastato.
Ron Paul è diventato la stella di internet.
«Il candidato presidenziale repubblicano Ron Paul è di gran lunga il più popolare su internet», ha attestato il 17 maggio Mark Jeffrey, sul sito Huffington.net: «Eppure, nonostante sia al primo posto online, per i media ‘mainstream’ non esiste.Il 14-15 maggio ‘Ron Paul’ è stato il termine più cercato col motore di ricerca Technorati.
Nei sondaggi di ABC.com e di MSNBC.com Ron Paul è stato decretato vincitore del dibattito con vasto margine.
Il sito di Ron Paul ha ricevuto più visite, la settimana scorsa, di quelli di Hillary Clinton, Barak Obama e John Edwards.
I suoi video sono i più guardati su YouTube…E dunque, che cosa succede?
Perché c’è una tale sconnessione tra internet e i grandi media?
Sia che siate pro o contro Ron Paul, la sua non-copertura sui media è una notizia in se stessa».

E poi: «I cosiddetti media professionali ci hanno miserevolmente tradito negli ultimi anni.
Il corpo della stampa ammesso alla Casa Bianca, con qualche notevole eccezione, ha mostrato una evidente mancanza di spina dorsale nel chiedere conto ai nostri leader politici. Invece sono state le voci di internet a farsi avanti con coraggio e senza riverenza a domandare risposte vere.
Blog, YouTube, podcast riscuotono già oggi più fiducia che i mezzi di comunicazione mainstream.
E’ interessante che questi media ‘selvaggi’ trovino in Ron Paul qualcosa che CNN, Fox, ABC e MSNBC continuano a sottovalutare».
Il perché è intuibile.
Il partito repubblicano ha con Ron Paul un candidato che può vincere (missione quasi impossibile, dopo la presidenza del repubblicano Bush jr.) ma ne ha una paura verde.
Perché Paul dice verità che non devono essere pronunciate.
E’ da sempre contro la guerra (uno dei pochi che ha votato contro), ed ora dice che la guerra è stupida e perduta, e che gli USA devono ritirarsi; è contro l’establishment di Washington dove la politica collude con gli affari; dice che l’era del dollaro è tramontata, che il governo federale spende troppo in guerre… ed è sul punto di dire l’indicibile verità sull’11 settembre.
Infatti la Fox News gli attribuisce proprio questa tesi: Paul avrebbe detto che gli USA «si sono chiamati» l’attacco di bin Laden, dunque è uno di quei pazzi che sotto sotto stanno dicendo che l’11 settembre è stato un «lavoro interno».
Ciò è falso - nemmeno Paul può dire «questa» verità - ma è significativo che la Fox rischi molto per screditarlo proprio su quel punto, e che nonostante tutto Ron Paul, la non-persona, l’uomo da far tacere, continui a dominare i sondaggi.
Lo ha confermato il 18 maggio un commento postato sul TheWashingtonNote.com, l’influente sito di gossip politico del giornalista Steven Clemons.
Un tale Robert Morrow, un militante occupato nella campagna di Ron Paul, scrive: «Sono qui ad Austin e do una mano a organizzare la raccolta di fondi per Ron Paul, e posso dirvi che stiamo facendo assolutamente man bassa in questi giorni. Ringraziamo gli attacchi dei caporioni repubblicani… è manna dal cielo. Ron Paul è una vera minaccia per l’establishment del partito non solo per le sue posizioni anti-guerra in Iraq, che sono parecchio popolari, ma anche perché è contro la tassazione eccessiva, contro il governo centrale e per la sovranità nazionale USA. Quella gente non attaccherebbe Ron Paul se lui non accumulasse tanto favore… di fatto, Paul è il più forte candidato del partito, ed è ironico che la leadership cerca in tutti i modi di marginalizzarlo o distruggerlo. Lui esercita un forte richiamo sugli elettori indipendenti. E’ il miglior candidato repubblicano possibile contro [la democratica] Hillary Clinton. Il voto libertario aveva abbandonato il partito nel 2006, ma tornerebbe se Ron Paul fosse nominato come candidato. Penso sia un candidato molto più forte di Rudy Giuliani».

A Ron Paul ha dato appoggio Pat Buchanan, il columnist cattolico conservatore che anni fa concorse, senza successo, alla presidenza.
Buchanan vede nel deputato sconosciuto (ai media) l’uomo che può strappare ai neo-conservatori il partito repubblicano in nome della vecchia destra americana. (1)
Non a caso, come riporta la United Press International (UPI), in USA i «grandi» media hanno licenziato 17.809 persone nel 2006, con un aumento dell’88% rispetto all’anno prima.
Nel 200, il New York Times ha già mandato a spasso 200 dipendenti, per lo più giornalisti.
I media americani, che si considerano ormai dei meri mezzi di raccolta pubblicitaria, mal sopportano la concorrenza delle notizie incontrollate su internet.
«La prima causa dei tagli è il cambiamento epocale di come la gente cerca le informazioni, per non parlare delle ricerche di lavoro, di auto e di prodotti di consumo», hanno spiegato all’agenzia di ricollocamento «Challenger, Gray Christmas», che ha condotto l’indagine sui licenziamenti mediatici.
«Giornali e TV continueranno a tagliare fino a quando non escogiteranno un modo di ricavare tanto denaro dai loro servizi internet quanto ne stanno perdendo con la carta stampata. Sarà dura».

Maurizio Blondet

Note
1) Justin Raimondo, «The Ron paul effect», Antiwar.com, 22 maggio 2007.

Fonte: http://www.effedieffe.com/rx.php?id=2001%20&chiave=Ron%20Paul

martedì 6 novembre 2007

Ron Paul

A proposito di Ron Paul

Il membro del Congresso Ron Paul è il più strenuo difensore della libertà nella capitale del nostro paese. Come membro della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti d’America il dott. Paul è un instancabile sostenitore dell’abbassamento delle tasse, dei liberi mercati e di un ritorno a sane politiche monetarie. È molto apprezzato fra i suoi colleghi del Congresso e fra i suoi elettori per la coerenza delle sue votazioni.
Il dott. Paul non ha mai sostenuto il governo a meno che l’emendamento espresso non fosse chiaramente in linea con la costituzione.
Secondo quanto ha detto il Segretario del Tesoro, William Simon, il dott. Paul rappresenta “un’eccezione alla gang dei 535” di Capitol Hill.

Ron Paul nacque e trascorse la sua infanzia a Pittsburgh, inPennsylvania. Frequentò il Gettysburg College e si laureò alla facoltà di medicina della Duke University, prima di prestare servizio come chirurgo nella U.S. Air Force durante gli anni ’60. Con sua moglie Carol si trasferì in Texas nel 1968, dove iniziò la pratica medica nella Contea di Brazoria.
Come medico specializzato in ostetricia/ginecologia, il dott. Paul fece nascere più di 4.000 bambini. Il dott. Paul e sua moglie Carol risiedono attualmente a Lake Jackson, in Texas, e sono i felici genitori di 5 figli e nonni di 17 nipoti.

Come membro del Congresso alla fine degli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80, il dott. Paul e le sue idee sulla limitazione dei poteri governativi non erano affatto ben visti a Washington.
Nel 1976 egli fu uno dei soli quattro membri repubblicani del Congresso a sostenere la presidenza di Ronald Reagan.

In quel periodo, in qualità di membro del Congresso, il dott. Paul fece parte della commissione della Camera sui servizi bancari e si batté per una più sana politica monetaria e perché non passassero sotto silenzio le misure inflazionistiche della Federal Reserve.
Si dimostrò essere anche un sostenitore dei valori della vita e della famiglia. Il dott. Paul votò regolarmente a favore dell’abbassamento o dell’abolizione delle tasse, delle spese e dei regolamenti federali, ed utilizzò il suo seggio alla Camera dei Rappresentanti per promuovere attivamente il ritorno del governo ai suoi appropriati livelli costituzionali.
Nel 1984 egli abbandonò volontariamente il suo seggio alla Camera e ritornò al suo lavoro di medico.

Nel 1997 ritornò al Congresso per rappresentare il 14° Distretto delTexas. Attualmente egli è membro della Commissione della Camera per iServizi finanziari e della Commissione della Camera per gli Affari Esteri. È instancabile nel sostenere una netta riduzione delle dimensioni del governo federale ed un ritorno ai principi costituzionali.
Il comportamento del dott. Paul come membro del Congresso portò uno dei suoi colleghi a dire: "Ron Paul personifica l’ideale dei Padri Fondatori dello statista-cittadino. È chiaro che i suoi principi sono incorruttibili e che lo saranno sempre.”
Un altro collega osservò: "Ci sono poche persone presenti nella vita pubblica del paese che, nel bene e nel male, rimangono fedeli ai loro principi. Ron Paul è una di queste.”

Una breve rassegna dell'Operato di Ron Paul come Membro del Congresso:
  • Non ha mai votato per alzare le tasse.
  • Non ha mai votato per un bilancio irrealistico.
  • Non ha mai votato per una limitazione federale al possesso di armi da fuoco.
  • Non ha mai votato per aumentare lo stipendio da congressista.
  • Non ha mai effettuato un viaggio a spese del governo.
  • Non ha mai votato per aumentare il potere del ramo esecutivo.

  • Ha votato contro il Patriot Act.
  • Ha votato contro la regolamentazione di Internet.
  • Ha votato contro la guerra in Iraq.
  • Non partecipa al lucrativo programma pensionistico del congresso.
  • Ogni anno restituisce al ministero del Tesoro una parte del suo budget da congressista.
  • Ogni anno il congressista Ron Paul introduce numerose porzioni di importanti legislazioni, probabilmente più di ogni altro singolomembro del Congresso.

(Fonte: http://www.ronpaul2008.com/about/)